«Un uomo fatto preghiera»,
così il suo primo biografo esprime la dimensione orante di Francesco d’Assisi:
la relazione con Dio lo ha condotto ad entrare pienamente nella preghiera
facendo dell’atteggiamento di comunione con il Tu divino una costante della sua
persona e del suo andare, che nulla gli poteva rapire. Come è accaduto? Non per
i doni straordinari: verso la fine della vita ha avuto qualche esperienza non
comune. Ma essenzialmente Francesco ha portato a pienezza il seme di vita con
Dio, che ogni cristiano ha in sé dal battesimo. Così Paolo lo esprime nella
Lettera ai Galati: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma
Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del
Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (2,19b-20).
Attraverso gli scritti di
Francesco cerchiamo di scoprire come si è manifestata la vita di Cristo in lui,
prendendo come punto di partenza l’orazione da lui composta prima di
comprendere chiaramente la chiamata di Dio. La tradizione ha tramandato il
luogo in cui è stata innalzata: il grande crocifisso bizantino nella chiesetta
di San Damiano. In ogni caso egli si rivolge a Dio: «Alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio, e damme fede diritta, speranza certa e
caritade perfetta, senno e conoscimento, Signore, che faccia lo tuo santo e
verace comandamento. Amen» (FF 276).
È l’unica preghiera di
domanda da lui formulata. Francesco si sente avvolto dalle tenebre interiori.
Dio lo sta attirando, ma il suo cuore è incerto, non sa in che direzione
muoversi. Chiede luce: più tardi saprà che essa viene dallo Spirito Santo, il
quale indica la via. Domanda la fede diritta, senza errori o
deviazioni, che lungo il cammino si trasformerà in fiducia totale, come
consegna nelle mani del Padre, sui passi di Gesù. La speranza certa dimora
in noi quando il desiderio che ci abita è orientato a Dio, nella certezza che
lui solo può e vuole dargli compimento. Infine la carità perfetta si
dona a Dio e ai fratelli fino all’estremo. L’ultima domanda di Francesco è il
discernimento per comprendere il disegno di Dio su di lui.
Un unico desiderio
Più tardi egli chiederà
soltanto di «fare ciò che sappiamo che tu vuoi e di volere sempre ciò che a te
piace». Rimane l’unico desiderio personale, perché questa è stata la
sete di Gesù in tutta la sua vita. Tale anelito infatti consente al Povero di
Assisi di seguire le orme del Figlio diletto, lasciando agire lo Spirito
Santo che abita nei nostri cuori. Questo ospite divino, che siamo
chiamati ad ascoltare e a non soffocare con il nostro egoismo, dentro di noi
compie una triplice operazione: purifica da quello che allontana da Dio,
dall’attaccamento a noi stessi, ai beni di questo mondo, alle persone, alle
passioni che tolgono la libertà e la capacità di amare nella gratuità; illumina
facendo conoscere Dio attraverso la Parola proclamata nella liturgia o meditata
personalmente, gli avvenimenti e le persone, come pure attraverso la buona
coscienza che spinge al bene; accende del suo fuoco, che è
l’amore con il quale Dio stesso ci ama e ci conduce all’intima unione con lui.
Francesco esorta i suoi fratelli a fare «attenzione che sopra tutto devono
desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione» (FF
104), che abbiamo appena cercato di descrivere. Quando si ha tale
desiderio sommo, si resta uniti a Dio in ogni momento: nella preghiera, nel
lavoro, nel dialogo fraterno, nello sguardo al creato, nell’andare e nel
riposare.
Francesco insegna che a
quel punto la preghiera diventa rendimento di grazie, perché in tutto si vede
l’agire di Dio, la sua provvidenza, la sua misericordia. Al termine di ogni
giornata, ripensando a quanto vissuto, si scoprono i doni divini e nel cuore
cresce la riconoscenza; si vede il suo passaggio nelle scelte compiute e non è
più possibile gonfiarsi d’orgoglio per i propri successi o il bene compiuto,
perché tutto è grazia. Nelle Ammonizioni Francesco indica un cammino di
povertà interiore, di non appropriazione, che fa vivere il quotidiano con
sapienza, in un amore fraterno che è autentico perché spoglio di sé.
Un abbraccio dalla
creazione alla redenzione
Nel suo rendere grazie
Francesco abbraccia l’intera storia della salvezza: «Onnipotente, santissimo,
altissimo e sommo Dio, Padre santo e giusto, per te stesso ti rendiamo grazie»
(FF 63) Il punto di partenza è Dio stesso, il totalmente Altro
che si fa vicino come Padre: è per lui che innanzi tutto Francesco rende grazie.
Gli basta che Dio sia Dio, grande e misericordioso, indicibile e amabile; tutto
il resto viene di conseguenza. Così il ringraziamento si espande dalla
creazione alla redenzione: «e ti rendiamo grazie, perché come tu ci hai creato
per mezzo del tuo Figlio, così per il verace e santo tuo amore, con il quale ci
hai amato, hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa
sempre vergine beatissima santa Maria, e per la croce, il sangue e la morte di
lui ci hai voluti redimere dalla schiavitù» (FF 64).
La riconoscenza perfeziona
la fede: non solo si affida, ma cammina nella gratitudine che fa penetrare
sempre più nel mistero rivelato ai piccoli. Lo sguardo di Francesco estende il
rendimento di grazie fino al giudizio finale, in cui la giustizia verrà a noi
attraverso il Padre misericordioso. Il traboccare della gratitudine
rende più consapevoli della propria debolezza: «e poiché tutti noi miseri e
peccatori non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore
nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme
con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie così come a te e a lui piace,
per ogni cosa, lui che ti basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto
cose tanto grandi» (FF 66). Sentendosi inadeguato al rendimento
di grazie, Francesco si appoggia nuovamente a Gesù Cristo che vuole seguire e
allo Spirito Santo da cui si lascia guidare.
La lode si muove nella
comunione d’amore delle tre divine persone, che sperimenta nell’intimo per la
forza del divino amore. Infine accenno alla pura lode scaturita dall’esperienza
mistica della Verna: «Tu sei santo, Signore solo Dio che compi meraviglie…» (FF
261). Il Tu sei, che scandisce tutto l’inno, rivela Francesco
fisso nel suo Tu. A lui si è consegnato come Gesù, di cui ha fatto esperienza
nella visione del Serafino. È il Padre Santo, nel quale Francesco si è
immerso senza perdere la propria realtà di persona, ritrovandosi nel Tu che è
tutto: amore, sapienza, bellezza, ricchezza e fin d’ora è la vita eterna.
Restando nel Tu, Francesco è davvero uomo fatto preghiera.
Francesco, con Dio in ogni
momento, uomo fatto preghiera
di Chiara Giovanna Cremaschi
clarissa di Milano
clarissa di Milano
Dell’Autrice segnaliamo:
Chiara di Assisi. Un
silenzio che grida
Porziuncola, Santa Maria
degli Angeli 2009, pp. 232