Firenze, 5.10.2013.
La visita di papa Francesco ad Assisi si è svolta
come ci aspettavamo. Può darsi che l’affluenza dei fedeli (e dei
turisti, e dei curiosi ecc.) sia stata più o meno largamente superiore
alla media, ma non è questo il punto. Di lodi e di celebrazioni, questo
pontefice ne ha già avute fin troppe: tante da far dubitare che, in
realtà, non tutti abbiano ancora capito che cosa sul serio sta
succedendo nella Chiesa: e soprattutto che cosa – nella Chiesa, alla
Chiesa, allo stesso Jorge Mario Bergoglio – potrebbe accadere.
Proviamo tanto per cominciare a ricordar qualcosa, in questo mondo di
smemorati. Per quanto mi riguarda, fino dall’inizio io non nascosi la
diffidenza per questo papa-gesuita che assumeva ponendosi a capo di
un’istituzione come la Chiesa il nome del Povero d’Assisi, uno che alle
istituzioni era profondamente allergico ancorché a quella ecclesiale
fosse incrollabilmente (ma anche dolorosamente) fedele. Era una sfida
troppo grande e troppo grave per apparire credibile: al massimo, si
poteva accordare fiducia nella buonafede di Bergoglio.
Poi, dopo alcune settimane di dichiarazioni che
potevano quasi parere scontate, quando qualcuno cominciava a dar segni
di stanchezza dinanzi alle reiterate scelte di umiltà e di quotidianità e
a quegli atteggiamenti che furono definiti “da buon parroco di
campagna”, papa Francesco ha cominciato a mostrare quella grinta che
al suo paese, l’Argentina, tutti ben conoscevano. E ha intrapreso sul
serio la via delle riforme. Perché la storia della Chiesa è tutta una
storia di riforme: reformare deformata, e la primitiva forma è quella
del Vangelo e di quella Chiesa dei primissimi tempi evangelici della
quale conosciamo solo due o tre righe degli Atti degli Apostoli. Legioni
di santi, di mistici, di utopisti e di eretici (anche loro: spesso
soprattutto loro…) hanno sognato la reforma, il ritorno alla Ecclesiae
primitiva forma. Vogliamo parlare di eterna contesa tra càrisma
evangelico e istituzione costantiniana? Sia pure: ma anche questo è uno
schema. Riforma dell’XI secolo, poi ancora riforma innocenziana; e
quindi quella che nel sentir comune e nella storia manualistica è stata
la Riforma per eccellenza, quella “protestante”; e ancora la
Controriforma, che non senza buone ragioni è ancora da qualcuno
definita “Riforma cattolica”; e ancora l’ondata giansenistica e
illuministica del XVIII secolo, in rapporto con il giurisdizionalismo
dei Borbone, dei Braganza e degli Asburgo (vale a dire di tutte le
dinastie regnanti sui paesi rimasti cattolici); e poi il tempo della
restaurazione e dei concordati, il Vaticano I e l’infallibilità
pontificia, e ancora la Rerum novarum cupiditas di Leone XIII , la
tempesta della prima guerra mondiale e dei regimi totalitari, la seconda
guerra e il secondo dopoguerra, la “teologia della Liberazione” il
Vaticano II, la caduta del sistema sovietica e l’effimero trionfo di
quel sistema occidentalistica e liberal-liberista nel nome del quale
Francis Fukuyama aveva salutato “la fine della storia”, e la nuova
storia che invece comincia adesso, in tempi incerti e pericolosi.
L’espressione esplicita che qualcosa di nuovo era sul
serio cominciata, la manifestazione simbolica dei tempi nuovi della
Chiesa e delle sfide che essa deve affrontare, papa Francesco l’ha data
l’8 luglio scorso visitando i profughi e gli abitanti sedentari di
Lampedusa. Non è certo il caso se i nemici della Chiesa – tutti:
compresi i fanatici che si dicono suoi fedelissimi – si sono
scandalizzati proprio confrontandosi con quella giornata.
E la conferma che quella sottolineata da papa
Bergoglio a Lampedusa l’8 luglio è davvero il grande, il vero Bonum
Certamen della Chiesa - perché si tratta ormai di battere
definitivamente sul piano mondiale la Grande Apostasia, la Modernità
individualista, materialista, usuraia, tirannica e assassina, la
decrepita Grande Prostituta che vive di lobbies e di droni, di truffe
finanziarie e di contractors - si è puntualmente, tragicamente
presentata proprio mentre il papa si accingeva a suggellare, con la
preghiera dinanzi al Sepolcro del Povero di Assisi. Si è presentata in
tutta la terribile forza ammonitrice della Maestà divina, nella tragedia
del 3 ottobre in quello stesso mare che meno di tre mesi fa il
pontefice aveva benedetto con la sua presenza e la sua parola. I figli
di Caino hanno ucciso ancora: e in un modo talmente immane, talmente
orribile, da farci ripetere una volta di più. Ma stavolta ci si augura
sul serio che il Mai Più sia reale.
E allora, torniamo al messaaggio di Francesco d’Assisi cui il papa tanto tiene.
Lo confesso, I have a dream. Tutti ne hanno uno:
perché non anch’io?
Il mio sogno è svegliarmi una mattina e poter leggere a
caratteri cubitali, sulla muraglia candida di un grande edificio del
centro cittadino, un colossale Abbasso san Francesco. Oppure veder e
sentire in TV un grande attore, un celebre opinion maker, un venerato
intellettuale, una rock star gridare: “Non ne posso più di san
Francescoooooo!!!!!.......!”.
Perché? Non certo perché io detesti il Povero
d’Assisi. Anzi, lo amo e lo venero con tutta l’anima. Mi è anche molto
simpatico. In più, è perfino il mio personale patrono.
Solo che non ce la faccio più a reggere tutto questo
unanimismo, tutta questa melassa appiccicosa e ipocrita. Perché? Ma via,
ragioniamo. Francesco Superstar, un Santo per Tutte le Stagioni: è
proprio possibile che piaccia davvero a tutti? Che sia simpatico ai
cattolici, ai protestanti, agli ebrei, ai musulmani, alle destre, alle
sinistre, agli atei, ai fricchettoni, agli ecologisti, agli animalisti, a
quelli del new age? Mesi fa, sembrò si aprisse uno spiraglio quando un
politico magari un po’ troppo liberista osò affermar in TV di preferire a
Francesco il padre Pietro Bernardone, usuraio e spietato con i poveri:
lui sì che avrebbe fatto marciare l’economia. Finalmente!
Ma, in realtà, quella non era affatto una “voce fuori
dal coro”. Era semmai un parere fin troppo conformistico: solo che era
stato espresso con scarsa delicatezza, a voce alta. Lo sappiano o no, lo
credano o meno, sono in molti per non dir quasi tutti a pensare così.
Salvo quelli che proprio non hanno capito nulla o sono degli inguaribili
ipocriti.
Su, coraggio, andiamo al sodo: al centro del
problema.
Francesco è inattuale. Era già inattuale ai suoi
tempi, nel primo Duecento dominato da una Chiesa grande e potente, da
guerrieri violenti e da accorti e avidi mercanti. Egli avrebbe potuto
appartenere ad almeno una di queste categorie. Non volle farlo. Questo
ragazzaccio viziato, donnaiolo, che sognava la gloria cavalleresca e
aveva paura solo dei lebbrosi, alla fine andò incontro alla più
difficile delle avventure. Volle farsi povero e nudo come il Cristo
sulla croce. Volle conoscere la fame, il freddo, le umiliazioni che sono
l’amaro pane quotidiano degli ultimi. Si ripete troppo spesso che sposò
la Povertà, come lo presenta Dante Alighieri. Non basta. Noi diciamo
“povero”, e pensiamo all’indigenza, alla mancanza di beni materiali. Ma
Francesco rifiutò ogni sorta di ricchezza perché, radicalmente, disse
“no” al potere: a qualunque forma di potere, comprese le forme
spirituali e intellettuali di esso, che derivano dalla scienza e dalla
cultura.
Francesco è stato uno splendido vinto, un glorioso
perdente. Perché mai dovrebbe piacere oggi? Egli viveva un tempo duro e
barbarico, ma nel quale esisteva ancora la Cristianità. Oggi viviamo in
un tempo nel quale possono esserci al mondo anche due miliardi di
persone che dicono di essere cristiani (e molti lo sono magari sul
serio): ma la Cristianità è distrutta. Gli ideali e gli idoli del nostro
Occidente moderno sono esattamente quel ch’egli aveva respinto: il
danaro, il potere terreno, la volontà di potenza, la vanagloria
dell’apparire. Non c’è nulla di più profondamente e radicalmente
antifrancescano della nostra società dell’individualismo sfrenato, del
benessere, dei consumi, del piacere, dei profitti, dello “spettacolo”.
Forse un derviscio musulmano o un bonzo buddhista sarebbero in grado di
comprenderlo sul serio, nel profondo: ben poco – a parte alcuni mistici e
alcuni asceti - gli occidentali, credenti o atei che siano. Eppure,
questo mondo agnostico ed edonista mostra di venerarlo e qua e là
perfino di sceglierselo a simbolo.
Abbiamo mai provato a pensare ai suoi aspetti più
sgradevoli? Eppure c’erano. Certamente puzzava, aveva le pulci e i
pidocchi; e qualche volta sapeva perfino esser duro, come quando faceva
punire corporalmente i frati indisciplinati dal “pugilatore di Firenze”,
un energumeno suo seguace. E allora, perché dovrebbe piacerci?
Ignoranza? Contraddizione? Paradosso? E che senso ha che piacesse a
Nietzsche, a D’Annunzio, a Mussolini, a Gandhi, a Che Guevara? E magari,
avete visto mai che piacesse anche a Bin Laden? E’ documentato che
piacesse a Khomeini.
Ebbene, sì: arrendiamoci all’evidenza. Francesco è
incomprensibile e insondabile. Ma è un segno di Dio. E’ quanto di più
simile a Gesù Cristo sia mai comparso sulla terra. E il suo messaggio è
limpido, inequivocabile. Oggi è giunto il tempo di tradurlo nella viva
esperienza della Chiesa, di calarlo nella storia. Come dice lui stesso,
nel suo “Testamento”: finché era nei peccati, troppo amara gli era la
vista dei lebbrosi. Poi la conversione, il risveglio: che è servizio
agli Ultimi nel nome del Cristo, condivisione della povertà a immagine
della Sua Passione. Trasvalutazione dei valori, rivolta contro il mondo
moderno. Questa è la scelta. Ed oggi viviamo il tempo della scelta.
Franco Cardini
http://www.francocardini.net/