sabato 7 giugno 2014

UNA NUOVA PENTECOSTE FRANCESCANA

fr. Raniero Cantalamessa OFMCap
Assisi, Capitolo delle Stuoie 2009


Raniero Cantalamessa(...) Francesco non ha analizzato i contenuti della sua scelta: quali aspetti del Vangelo si proponeva, cioè, di rivivere. Seguendo il suo istinto del “sine glossa”, lo ha preso in blocco, come qualcosa di indivisibile. Noi però possiamo oggi rilevare alcuni contenuti concreti della sua scelta, basandoci su quello che lo vediamo mettersi a fare prima e dopo il viaggio a Roma e l’incontro con il papa. Possiamo parlare delle tre “P” di Francesco: predicazione, preghiera, povertà.

La prima cosa che Francesco si mette a fare è di andare lui stesso e mandare i suoi compagni in giro per i villaggi e i paesi a predicare la penitenza, esattamente come aveva sentito che faceva Gesù. Gesù intercalava la predicazione con tempi di preghiera: di notte, di giorno, sul fare del mattino, a sera tarda, dalla preghiera partiva e alla preghiera ritornava dopo i suoi viaggi; lo stesso fa ora il piccolo gruppo raccoltosi intorno a Francesco. La preghiera faceva da bordo augusto a tutte le attività del giorno. Tutto questo accompagnato da uno stile di vita povero nel senso più comprensivo della parola, cioè fatto di povertà materiale radicale, ma anche di povertà spirituale, cioè semplicità, umiltà, fuga dagli onori: cose tutte che più tardi Francesco racchiuderà nel nome di “Minori” dato ai suoi frati.
È da rilevare un dato importante: questa primitiva esperienza è interamente laicale. Il grande storico Joseph Lortz ha affermato con forza: “Il centro più intimo della pietà del santo cattolico, Francesco d’Assisi, non è clericale” .
L’intuizione di Francesco trova una singolare conferma nell’orientamento più recente degli studi sul Gesù storico. E’ divenuto abbastanza comune definire il gruppo di Gesù e dei suoi discepoli, dal punto di vista della sociologia religiosa, come “carismatici itineranti”, anche se il modo con cui questa qualifica è intesa da taluni è soggetta a non poche riserve [8]. “Carismatici” indica il carattere profetico della predicazione di Gesù, accompagnata da segni e prodigi; “itineranti” il suo carattere mobile e il rifiuto di stabilirsi in un luogo fisso, confermato dal detto di Cristo: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Non si potrebbe trovare una definizione più adatta di questa per il primitivo gruppo riunito intorno a Francesco: carismatici itineranti. (...)

Una predicazione francescana rinnovata

Come potremmo oggi attuare quei tre aspetti fondamentali della primitiva esperienza francescana che ho evidenziato: predicazione, preghiera e povertà. A proposito del primo, la predicazione, ci si deve porre anzitutto una domanda inquietante: che posto occupa oggi la predicazione nell’ordine francescano? In una mia predica alla Casa Pontificia feci una volta delle riflessioni che credo possono servire anche a noi qui. Nelle chiese protestanti, e specialmente in certe nuove chiese e sètte, la predicazione è tutto. Di conseguenza, è ciò a cui vengono avviati e in cui trovano naturale modo di esprimersi gli elementi più dotati. E' l'attività numero uno nella Chiesa. Chi sono invece quelli che sono riservati alla predicazione tra noi? Dove vanno a finire le forze più vive e più valide della Chiesa? Che cosa rappresenta l'ufficio della predicazione, tra tutte le possibili attività e destinazioni dei giovani preti? A me sembra di scorgere un grave inconveniente: che alla predicazione si dedichino solo gli elementi che rimangono dopo la scelta per gli studi accademici, per il governo, per la diplomazia, per l'insegnamento, per l'amministrazione.
Parlando alla Casa Pontificia dissi: bisogna ridare all'ufficio della predicazione il suo posto d'onore nella Chiesa; qui aggiungo: bisogna ridare all’ufficio della predicazione il posto d’onore nella famiglia francescana. Mi ha colpito una riflessione del de Lubac: “Il ministero della predicazione non è la volgarizzazione di un insegnamento dottrinale in forma più astratta, che sarebbe ad esso anteriore e superiore. E', al contrario, l'insegnamento dottrinale stesso, nella sua forma più alta” [11]. San Paolo, il modello di tutti i predicatori, certamente metteva la predicazione prima di ogni cosa e tutto subordinava ad essa. Faceva teologia predicando e non una teologia da cui lasciare poi che altri desumessero le cose più elementari da trasmettere ai semplici fedeli nella predicazione.
Noi cattolici siamo più preparati, dal nostro passato, a fare i “pastori” che i “pescatori” di uomini, cioè siamo più preparati a pascere le persone che sono rimaste fedeli alla Chiesa, che non a portare ad essa nuove persone, o a “ripescare” quelle che se ne sono allontanate. La predicazione itinerante scelta per sé da Francesco, risponde proprio a questa esigenza. Sarebbe un peccato se l’esistenza ormai di chiese e grandi strutture proprie facessero anche di noi francescani solo dei pastori e non dei pescatori di uomini. I francescani sono “evangelici” per vocazione originaria, i primi veri “evangelici”; non possono permettere che in certi continenti, come l’America Latina, la predicazione itinerante sia appannaggio delle sole chiese “evangeliche” protestanti.
Anche sul contenuto della nostra predicazione ci sarebbero delle osservazioni importanti da fare. Si sa che la primitiva predicazione francescana era tutta incentrata intorno al tema della “penitenza”, al punto che il primitivo nome che i frati si diedero fu quello di “ penitenti di Assisi”. Per predicazione penitenziale si intendeva allora una predicazione centrata sulla conversione nel senso di cambiamento dei costumi, quindi di carattere morale. Fu il mandato che diede ai frati Innocenzo III: “Andate, predicate a tutti la penitenza”. Nella Regola definitiva questo contenuto morale si specifica: i predicatori devono annunciare ”i vizi e le virtù, la pena e la gloria”.
Questo è un punto in cui un ritorno meccanico all’origine sarebbe fatale. In una società tutta impregnata di cristianesimo, questo delle opere era l’aspetto su cui era più naturale e urgente insistere. Oggi non è più così. Viviamo in una società in molti paesi diventata post-cristiana; la cosa più necessaria è aiutare gli uomini a venire alla fede, scoprire Cristo. Per questo non basta una predicazione morale o moralistica, occorre una predicazione kerigmatica che vada diritto al cuore del messaggio, annunciando il mistero pasquale di Cristo. Fu con questo annuncio che gli apostoli evangelizzarono il mondo pre-cristiano e sarà con esso che possiamo sperare di ri-evangelizzare il mondo post-cristiano.
Francesco, e grazie a lui, in parte anche i suoi primi compagni riuscirono a evitare questo limite moralistico nella loro predicazione. In lui vibra in tutta la sua forza la novità evangelica. Il vangelo è davvero vangelo, cioè lieta notizia; annuncio del dono di Dio all’uomo prima ancora che risposta dell’uomo. Dante ha colto bene questo clima, quando dice di lui e dei suoi primi compagni:
“La lor concordia e i lor lieti sembianti amore e meraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi”.
Avevano trovato, dicono le fonti, il tesoro nascosto e la perla preziosa e volevano farla conoscere a tutti  L’aria che si respira intorno a Francesco non è quella di certi predicatori francescani posteriori, specie nel periodo della Controriforma, tutta centrata sulle opere dell’uomo, austera e afflittiva, ma di un’austerità più vicina a quella di Giovanni Battista che a quella di Gesù. L’immagine stessa di Francesco viene gravemente alterata in questo clima. Quasi tutti i dipinti di questo periodo lo rappresentano in meditazione con un teschio in mano, lui per il quale la morte era una buona sorella! Continuiamo, dunque pure noi francescani a predicare la conversione, ma diamo a questa parola il senso che le dava Gesù quando diceva: “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Prima di lui convertirsi voleva sempre dire cambiare vita e costumi, tornare indietro (è il senso dell’ebraico shub!), all’osservanza della legge e all’alleanza violata. Con Gesù non vuol dire più tornare indietro, ma fare un balzo in avanti e entrare nel regno che è venuto gratuitamente tra gli uomini. “Convertitevi e credete” non vuol dire due cose separate, ma la stessa cosa: convertitevi, cioè credete alla buona notizia! È la grande novità evangelica e Francesco l’ha colta d’istinto, senza attendere l’odierna teologia biblica. (...)

Una nuova Pentecoste francescana

Come tradurre in atto tutte le proposte evocate e quelle ancora più numerose che certamente emergeranno dagli interventi che seguiranno? La risposta ci viene dalla parola pronunciata da Francesco vicino alla fine della sua vita: “Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo!”. Questa parola non era rivolta soltanto ai presenti, ma ai suoi seguaci di tutti i tempi.
Siamo richiamati a quello che si diceva all’inizio sul carisma francescano: esso non consiste nel guardare a Francesco, ma nel guardare a Cristo con gli occhi di Francesco. C’è una cosa che permane immutata da Francesco a noi, al di sotto di tutti mutamenti storici e sociali: lo Spirito del Signore. Tutta la vita del Poverello, se ci si fa caso, si svolge, sotto la guida dello Spirito Santo. Quasi ogni capitolo della sua vita si apre con l’osservazione. “Francesco, mosso, o ispirato, dallo Spirito Santo, andò, disse, fece…”.
Nella ricorrenza del XVI centenario del con­cilio ecumenico Costantinopolitano 1- il concilio che definì la divinità dello Spirito Santo -, il papa Giovanni Paolo II scrisse: “Tutta l'opera di rinnovamento della Chiesa, che il concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente proposto e iniziato… non può realizzarsi se non nel­lo Spirito Santo, cioè con l'aiuto della sua luce e del­la sua forza”. Questo vale più che mai per il rinnovamento degli ordini religiosi.
Ci sono due soli tipi di rinnovamento possibili: un rinnovamento secondo la legge e un rinnovamento secondo lo Spirito. Il cristianesimo –Paolo ce lo insegna – è un rinnovamento secondo lo Spirito (Tit 3,5), non secondo la legge. In realtà la legge non è riuscita a rinnovare veramente nessun ordine religioso; mette in luce la trasgressione, ma non da la vita. Essa è utile e preziosa se messa a servizio della “legge dello Spirito che da la vita in Cristo Gesù” (Rom 8,2), non se pretende di sostituirla. Se, come scrive san Tommaso d’Aquino, anche la lettera del Vangelo e i precetti morali contenuti in esso ucciderebbero se non si aggiungesse, dentro, la grazia della fede e la forza dello Spirito Santo”, cosa dobbiamo dire di tutte le altre leggi positive, comprese le regole monastiche?
Dobbiamo domandarci che cosa può significare per noi francescani, accogliere la grazia della “novella Pentecoste” invocata da Giovanni XXIII. La seconda generazione francescana vide se stessa come la realizzazione delle profezie di Gioacchino da Fiore di una nuova era dello Spirito. C’era, evidentemente, dell’ingenuità, se non dell’orgoglio, in questa identificazione, senza contare che la tesi stessa di una terza era dello Spirito Santo – sia o no da attribuirsi in questa forma a Gioacchino - è eretica e inaccettabile. E tuttavia c’è qualcosa che possiamo ritenere da questo capitolo discusso della nostra storia: la convinzione di essere una realtà suscitata dallo Spirito Santo e che è chiamata a tenere viva nel mondo la fiamma della Pentecoste.
Il primo capitolo delle Stuoie si aprì il giorno di Pentecoste del 1221; si aprì dunque con il solenne canto del Veni creator che faceva ormai parte della liturgia di Pentecoste. Quest’inno, composto nel IX secolo ha accompagnato la Chiesa in ogni grande evento svoltosi nel secondo millennio cristiano: ogni concilio ecumenico, sinodo, ogni nuovo anno, o secolo è iniziato con il suo canto; tutti i santi vissuti in questi dieci secoli l’hanno cantato e hanno lasciato nelle parole l’impronta della loro devozione e amore allo Spirito.
Con esso invochiamo anche noi la presenza dello Spirito su questo nuovo Capitolo delle stuoie. Vieni Spirito creatore. Rinnova il prodigio operato all’inizio del mondo. Allora la terra era vuota, deserta e le tenebre ricoprivano la faccia dell’abisso, ma quando tu cominciasti ad aleggiare su di esso, il caos si trasformò in cosmo (cf. Gen 1,1-2), cioè in qualcosa di bello, ordinato, armonioso. Anche noi sperimentiamo il vuoto, l’impotenza a darci una forma e una vita nuova. Aleggia, vieni su di noi; trasforma il nostro caos personale e collettivo in una nuova armonia, in “qualcosa di bello per Dio” e per la Chiesa.
Rinnova anche il prodigio delle ossa aride che riprendono vita, si alzano in piedi e sono un esercito numeroso (cf. Ez 37, 1 ass.). Noi non diciamo più come Ezechiele: “Spirito soffia dai quattro venti”, come se non sapessimo ancora da dove soffia lo Spirito. Nella settimana pasquale diciamo: “Spirito Vieni Spirito dal costato trafitto di Cristo sulla croce! Vieni dalla bocca del Risorto!”.

lunedì 2 giugno 2014

SULLE TRACCE DI SANTA ROSA - DIARIO DI VIAGGIO IN SPAGNA - recensione di Ricardo Lucio Perriello


Ricardo Lucio Perriello ha recensito il libro di Alessandro Finzi e Pedro Gonzales Redondo,Sulle tracce di santa Rosa. Diario di viaggio in Spagna, del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo, Viterbo 2014, pp. 125. ISBN 978-88-907643-2-5.



Il Libro scritto da Alessandro Finzi e Pedro Gonzalez Redondo Sulle tracce di Santa Rosa. Diario di viaggio in Spagna, pubblicato dal Centro Studi Santa Rosa da Viterbo grazie al contributo della Fondazione CARIVIT, ci offre degli spunti di riflessione assai interessanti per lo studio della grande Santa viterbese e del suo culto.  

E’ un libro che nasce dalla narrazione dei due viaggi compiuti in Spagna dai due studiosi del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo nel 2012 e nel 2013.
La loro opzione fondamentale è sottolineare la grandezza della Santa e la risonanza internazionale del suo culto e del suo straordinario messaggio. E’ un obiettivo che i due studiosi in questo libro, il quale segue un precedente ed accurato libro su una vita quattrocentesca di Santa Rosa in volgare tedesco ed anticipa un prossimo libro sulle tracce di Santa Rosa nell’America latina, raggiungono perfettamente.
Il testo è avvincente, discorsivo, dinamico e si divide in due parti, ognuna divisa in nove puntate, che scandiscono gli “avvenimenti” e le tappe compiute nei due viaggi: il primo dal 22 al 29 maggio 2012, il secondo dal 31 maggio al 4 giugno 2013.
La ricerca delle straordinarie tracce del culto della Santa in Spagna, che ha visto i due autori protagonisti, riesce a esprimersi nel corso dell’opera in modo tale da renderci compartecipi di questa esperienza spirituale e di studio, trasformandoci in veri e propri compagni di viaggio extra Viterbum. La dimensione internazionale, infatti, del culto della Santa è uno dei grandi obiettivi del Centro Studi Santa Rosa da Viterbo.
Quello che trapela sin dalle prime pagine del libro e che si allea sempre alla elevatissima competenza scientifica dei due autori, è la loro appassionata e appassionante devozione nei confronti della Santa.
Il viaggio inizia con la scoperta, che sembra voluta dall’alto da santa Rosa medesima, in occasione di un convegno imminente a Barbastro, città a Nord della Spagna, di una edizione integrale, su internet, in lingua spagnola di un testo del sacerdote spagnolo Alonso de Guzman, stampato a Madrid nel 1671, di cui si avevano due precedenti edizioni del 1615 e del 1665 stampate a Viterbo dall’editore “Diotallevi”.  La cosa straordinaria, però, era che in una delle pagine bianche interne alla copertina c’era scritto a mano : “E’ delle cappuccine di Barbastro”.
Il viaggio dunque si apre con questa straordinaria scoperta, dopo la quale i due viaggiatori-autori partono per Madrid.  La prima tappa è l’importante quadro seicentesco di Murillo che raffigura santa Rosa inginocchiata accanto alla Madonna, che si trova al Museo Thyssen-Bornemiza. Nel 1982 ci fu un errore  per cui la santa raffigurata venne identificata con santa Rosalia, ma il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo individuò l’errore nel 2010 e finalmente l’errore è stato corretto, giacché nel cartellino sotto l’opera vi è ora indicato il nome di santa Rosa.


Tappa successiva è a Barbastro, luogo del convegno e del monastero delle suore Cappuccine proprietarie della vita di santa Rosa di Alonso de Guzman.  Ma questa vita non c’è in monastero! E’ su internet, ma nel monastero è assente! Evento stranissimo, che però ha una spiegazione: probabilmente, secondo la testimonianza delle suore sulla tremenda guerra civile spagnola del 1936, il testo del Guzman fu trafugato quando il monastero fu occupato dai governativi, che vi ammassarono circa un migliaio di prigionieri politici.
Il viaggio prosegue per Guadalajara e poi per Alcalà de Henares, costellato di tentativi di scoprire le tracce del culto di santa Rosa, nella ricerca di statue della Santa, nel riconoscimento di essa nell’iconografia tramite i segni caratteristici come le rose, il cordone e la croce portata in mano.
Notevolissime le riflessioni sul presente della Spagna, sul suo ammodernarsi pur conservando la sua cultura secolare e le sue tradizioni, sull’importanza del paesaggio e della cura dei beni culturali inestimabili, sulla gravità dell’odierna crisi economica. Un viaggio in una terra meravigliosa, compiuto sul finire della splendida primavera mediterranea, mosso da ragioni scientifiche e nutrito da un intenso e vivace sentire spirituale, teso tra la riscoperta del passato e l’incessante incombenza e imprevedibilità del presente e del quotidiano. Un viaggio che segue un programma di scoperta e di documentazione, di verifica dell’ipotesi, e che si apre ad ulteriori viaggi, comunicandoci una “spiritualità dell’itinere”, che probabilmente costituisce una delle più alte forme di sentimento religioso, alternando la concretezza del cammino umano sulla terra e il rimando alla trascendenza. Trascendenza e quotidianità, paesaggio ed anelito ultraterreno si combinano nell’evento del viaggio, quale scoperta di orizzonti sempre nuovi che rinviano ad altri orizzonti in una dinamica tra identità e differenza, tra alterità e tipicità, che caratterizzano dialetticamente quel mistero che è l’essere umano.
L’identità della santa viterbese, così, si arricchisce nella “differenziazione” tramite l’ espansione del suo culto, che abbraccia differenti culture, perpetuandosi nel tempo secondo identità locali e personali irripetibili, che costituiscono come tessere di un mosaico meraviglioso l’incanto del sentire religioso e della pietà popolare verso la candida santa Rosa.  
Ed il viaggio dei due autori procede per la assolata Spagna ad Alcala de Henares, a Cordoba, dove si trovano varie statue di santa Rosa, erroneamente attribuite ad altre figure storiche: interessante la sovente confusione tra santa Rosa e santa Rosalia, confusione che i due studiosi chiariscono attraverso acute motivazioni storiche ed iconografiche. Dopo abbiamo le tappe di Bornos e Cadice, di quest’ultima città viene sottolineata la bellezza del mare e della spiaggia, prospettandoci un orizzonte “mediterraneo”, in cui si proiettano le varie culture nel loro combinarsi, intrecciarsi, dimenticarsi e ritrovarsi. Mi sembra opportuno sottolineare come, nella vita in volgare tedesco della Santa, pubblicata dal Centro Studi nel 2012 a cura di Anna Maria Valente Bacci, venga conferito a santa Rosa anche l’appellativo di “stella dei naviganti”. E possiamo così immaginare, giacché un diario di viaggio sollecita l’immaginazione e la fantasia a pensare e sognare terre lontane nel desiderio di scoprirle realmente, come la Santa abbia protetto i naviganti nel loro viaggio, nel loro arrischiarsi presso un mare che è il cammino e il ponte più rischioso ma, in definitiva, altresì il più necessario. Come Maria, stella maris, ha protetto santa Rosa nel suo cammino, così Rosa fu protettiva nei confronti di quanti si inoltrarono per mare, rischiando la propria vita, ma esportando cultura e civiltà. E’ questo il “miracolo” della diffusione dell’identità, che genera ed alimenta una tradizione, percorrendo un cammino spaziale, temporale e storico, senza alienarsi o disperdersi, ma “donandosi” nelle generazioni.    
Il primo viaggio termina a Siviglia dove nella facciata della chiesa del Convento di santa Paola si trova una formella che raffigura santa Rosa, la formella risale al 1500 ed è stata compiuta da Pedro Millàn… … e, a Siviglia, in qualche modo, “inizia” il secondo viaggio, giacché ne nasce l’esigenza e sorge l’intenzione di proseguire un itinerario, che non si esaurisce in una meta precisa e “definitiva”, ma continuamente si rilancia come viaggio, come storia, come vicenda e desiderio di conoscere l’umanità, nella prospettiva “particolare” dello studio di un culto, che rivela meravigliosamente l’umanità non nella sua valenza astratta, ma nella sua concreta vicenda storica, costituita da paesaggi, sentimenti, ricordi, rimandi, profumi, tradizioni locali e incontri personali, da sorprendenti scoperte, ma anche da inevitabili imprevisti.
Ciò che trapela dal diario di viaggio è anche un’avvincente autoironia, che ben si combina alla passione euristica dei due viaggiatori, riuscendo a immergere il lettore nel vivo della vicenda. Il movimento tra i luoghi, cioè l’itinerario spaziale, si combina con l’itinerario temporale, attraverso il richiamo di differenti vicende storiche: una combinazione, spesso spontanea di eventi, che è vera e propria “fusione di orizzonti”. L’orizzonte del passato più remoto, quello della nascita del culto di santa Rosa in Spagna, attestabile già dal Cinquecento, si combina con l’orizzonte più recente, rappresentato dalle vicende drammatiche del Novecento e della guerra civile, e con l’orizzonte attuale del rinnovamento del culto di santa Rosa in un presente vissuto, che “rilancia” il passato nel concreto scorrere quotidiano della vita.     
Il secondo viaggio dell’ anno 2013 inizia dalla città di Miguel De Unamuno: Salamanca, ove si trova un grande quadro di santa Rosa dipinto da Gomez. Il primo viaggio iniziò con un’opera di Murillo, il secondo viaggio si apre con un altro grande artista che raffigurò magistralmente la Santa. Il percorso procede a Cadice, una delle ultime tappe del viaggio precedente: questa volta i due viaggiatori riescono a visitare il parco, ubicato su uno sperone roccioso sul mare, ove vi è posta la candida statua di santa Rosa che porge le rose. La statua testimonia come il culto della Santa viterbese si sia perpetuato così tanto tempo in Spagna e tale perpetuarsi trova una straordinaria espressione nelle tappe successive del secondo viaggio, tra cui spicca la tappa di Alcolea de Almeria.


Molto significativa è la creazione di una stimolante assonanza tra ricerca di un culto, la conoscenza della spiritualità e il paesaggio ispanico-mediterraneo; quest’assonanza è come il sottofondo “estetico” dell’intero libro, ed aiuta il lettore, stimolato anche dalle bellissime foto di cui è costellato il libro, a “sognare”, “immaginare” e “vagheggiare” orizzonti vicini e lontani assieme, prefigurandosi anche il suo possibile itinerario sulle tracce di santa Rosa. Sembra di sentire, leggendo e rileggendo le varie pagine, sfogliandole e risfogliandole, i passi delle persone nei vicoli, i canti delle processioni, gli echi, i profumi dei fiori sui balconi, il caldo riflettersi della luce solare nelle pietre delle case e nei campi imbionditi, il gusto dei cibi tipici, il decoro delle chiese e il silenzio di fresche sagrestie.   
 La tappa di Alcolea de Almeria rappresenta una sorta di viaggio nel viaggio, la devozione popolare verso la santa in questo paese è straordinaria e vi sono numerose tracce del culto della santa. Qui si tramanda ancora un inno a santa Rosa, che viene dolcemente intonato da un coro di devotissime donne. Viterbo appare luminoso e presente anche in terre lontane, distante dai suoi terreni tufacei, dai suoi boschi magici e dai suoi dolcissimi monti, ma sempre protetto dalla sua candida Rosa.
Torna centrale nella tappa di Alcolea il connubio tra cultura, sentimento religioso e paesaggio, un connubio che attraversa tutto il libro: vicoli, spiagge, strade e piazze assolate, chiese e conventi che costellano la Spagna in modo che diventi una sorta di giardino di chiese e di conventi, ognuno dei quali nasconde il suo piccolo tesoro e, sovente, la sua statua o immagine di santa Rosa. Nella chiesa di san Sebastiano, protettore di Alcolea, c’è un altare, all’estremità del braccio destro del transetto, con la statua di santa Rosa al centro, affiancata dalle statue di san Rocco e san Sebastiano. La statua della Santa era stata distrutta durante la guerra civile, ma ne fu scolpita una nuova simile a quella originale.   
Culto è cultura e la cultura è nel paesaggio da tutelare e non affliggere nella corsa incessante verso una modernità, che rischia di dimenticare le proprie radici nella progettazione del futuro. Il culto è conservato dalla pietà popolare, semplice e spontanea, la quale, intrisa di spiritualità, non dimentica la terra di cui si nutre e in cui è nata … proprio come le rose, proprio come santa Rosa da Viterbo. Questo culto vive di tradizione rinnovata e di memoria. Saranno le generazioni future in grado di tutelare il paesaggio e la memoria? L’itinerario compiuto materialmente si converte in un itinerario spirituale, che non possiede mete ultime, ma, tappa per tappa, esperisce e tocca il proprio centro: la presenza di santa Rosa.  
Da Alcolea il cammino prosegue a Ecija dove nella chiesa dell’ex Convento dei Cappuccini, oggi chiesa della Divina Pastora, vi è una statua molto interessante della Santa, giacchè Rosa non è raffigurata con il dito alzato nell’atto di predicare, ma in un gesto che indica più il sillogizzare e l’argomentare. Sempre ad Ecija nell’ex Convento vi è un quadro di un autore anonimo, che raffigura santa Rosa nell’atto di predicare, in uno scenario che ricorda assai il paesaggio viterbese e il lago di Vico: Viterbo era una delle ultime tappe della via Francigena, che i pellegrini percorrevano verso Roma. Ed ecco che la valenza della figura di santa Rosa come protettrice dei pellegrini ritorna e ritorna proprio in un diario di viaggio.  
Dopo questa suggestiva tappa si giunge a Palos de la Frontera, il luogo dove Colombo salpò per le il nuovo mondo, per poi giungere a Siviglia dove, nella chiesa dei Terziari, si trova un tondo che raffigura santa Rosa.
Questo percorso, che proseguirà in altre circostanze e in altri paesaggi, ci si è mostrato ricco di scoperte, imprevisti, suggestioni: i due viaggiatori si prefiggono e ci prospettano, coinvolgendoci, sempre nuove mete, come se nessuno spazio e nessun tempo determinato possa contenerli e fermarli, protendendosi entusiasti, sciabordanti come fiumi che si dirigono al mare, verso l’eternità. Essi vivono la storia, la esaminano e la analizzano, ma, alla fine, tramite la fede che li infiamma, si librano sopra essa e la superano nell’orizzonte ultimo della superna Verità …. simile a quella che infiammò Rosa nei vicoli di Viterbo tanti anni fa. La storia si allea al paesaggio e si rinnova con la memoria, come la natura si rinnova con l’avvicendarsi delle stagioni; il culto, la cultura, la spiritualità appaiono nel paesaggio e lo caratterizzano, inondandolo di una luce spirituale, che si fonde con la splendida luce del Mediterraneo. L’una e l’altra illuminano e riscaldano la nostra esistenza, la quale, senza la luce, appassirebbe e morirebbe, proprio come le rose.         



     Ricardo Lucio Perriello



http://www.centrostudisantarosa.org/