S.Bonaventura narra che in un giorno di
Pasqua, in un certo romitorio
(l'agiografo non specifica di quale eremo si trattasse, ma sappiamo che fu in
quello di Greccio durante gli ultimi anni di vita del Santo), Francesco ammaestrò i
frati “con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè
il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in
povertà di spirito, come pellegrini e
forestieri”.
In questa circostanza il santo d’Assisi che amava la concretezza e
sempre si sforzava di rendere reale e tangibile ogni esperienza di fede , era assorto nella meditazione del mistero che egli
cercava sempre di rendere attuale. Fu per questo che con un espediente
teatrale di grande effetto si presentò ai suoi in veste di mendicante e dopo
averne ottenuta l’elemosina improvvisò una memorabile lezione sul senso e lo
scopo dell’itineranza spirituale del
frate minore.
Fare pasqua fu per Francesco più che un punto di arrivo, uno stile di vita. Dal momento in cui ascoltò la chiamata del Signore a San Damiano, passando per lo spogliamento davanti al vescovo ed al bacio al lebbroso, come Abramo abbandonò tutto per abbracciare l’avventura della ricerca della terra promessa. Anche a lui come ad Abramo è assicurata una discendenza numerosa come le stelle del cielo, ma è necessario che cammini nella penombra, a volte in una vera e propria oscurità dove nessuno gli dice o gli suggerisce la strada . Egli rivive pienamente l’esodo del popolo ebraico che lascia ogni sicurezza pur legata ad una condizione di schiavitù, per affrontare l’incertezza del cammino secondo libertà , imprevedibile , pieno di rischi e di cadute ma non disperato perché garantito dalla promessa di Dio di una terra ove scorre latte e miele. E’ la terra promessa ai padri, ma non ancora conosciuta nè vista. L’Esodo ci suggerisce Francesco, è un grande viaggio da fare: uscire dall’Egitto per entrare nella buona terra.
Durante questo lungo viaggio, al centro
si pone come decisivo l’evento del Sinai: l’incontro del popolo con il suo Dio,
la grande esperienza religiosa che darà il senso e la forma a tutto quello che
succederà in seguito.
Francesco ogni giorno della sua vita
prega e supplica di «avere lo
Spirito del Signore e la sua santa operazione» , perché ogni giorno l’uomo possa
sperimentare nella preghiera la visione
consolatrice di Dio, questa ierofania che come la nube o la colonna di fuoco
per il popolo ebraico, gli indica la via più sicura per attraversare il deserto
del mondo.
Ma per possedere lo spirito del Signore,
«non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto
dobbiamo essere semplici, umili e puri» (2Lf 45). E aggiunge: «beati
i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio (Mt 5,8). Veramente puri di cuore sono
coloro che disdegnano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano
mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cuore ed animo puro»
(Am 16)..
. Il modello è sempre il Cristo
pellegrino che si accompagna ai suoi discepoli . Francesco insegna ai suoi a combattere la
cupidigia degli occhi con la povertà, l’orgoglio della vita con l’umiltà e a vivere
come pellegrini e stranieri . I frati sono i veri ebrei , i discendenti di
Abramo nella fede. Essi riprendono per
proprio conto la storia di Israele secondo la carne: essi devono attraversare
un deserto, il mondo, prima di arrivare alla terra promessa cioè il cielo . Con
Gesù essi devono passare da questo mondo al Padre e lo possono fare soltanto superando
il peccato con la penitenza della povertà, dell’umiltà e del distacco dal
mondo.
La Pasqua, ovviamente, era pure per San Francesco il passaggio dalla
morte alla vita, dal peccato alla penitenza, dalla superficialità alla
contemplazione. Una contemplazione che è rendimento di grazie a Dio per quanto
ha operato in lui attraverso questo Mistero così grande, una contemplazione che
si trasforma in lode: “…ti rendiamo grazie perché […] per la croce, il
sangue e la morte di Lui ci hai voluti liberare e redimere” (Rnb XXIII, 5).
Fare Pasqua , ci suggerisce Francesco,
significa passare nel mondo in povertà di spirito, ricchi cioè di quella
beatitudine che - ce l'assicura Gesù - ci fa padroni del Regno. Fare Pasqua, vuol
dire saper accogliere con serenità gli eventi, accettando anche il dolore e la
morte nella consapevolezza che essi non sono la meta definitiva.
Fare Pasqua vuol dire trasformare il
dolore in amore, saper gioire delle piccole cose, contentarsi
di quel che si ha, senza lasciarsi ardere dalla gelosia e dall'invidia; vuol
dire amare la propria persona così com'è, perché è con la nostra povertà che
Dio vuol realizzare grandi cose. Francesco ha compiuto questo percorso, fino in
fondo, e chiede a noi di fare altrettanto.
Antonio Fasolo ofs
9.
Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si trovava in un romitorio molto
lontano dall'abitato e non c'era possibilità di andare a mendicare, memore di
Colui che in quello stesso giorno apparve
ai discepoli in cammino verso Emmaus, in figura di pellegrino, chiese l'elemosina, come pellegrino e povero, ai
suoi stessi frati. Come l'ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi a
celebrare continuamente la Pasqua del
Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il
deserto del mondo in povertà di spirito, e come pellegrini e forestieri e come
veri Ebrei.
( San
Bonaventura, Legenda maior,
VII, 9- FF. 1129 ).