Forse non tutti sanno che S. Francesco
d’Assisi non viveva una sola quaresima
all’anno, bensì cinque, quindi nell’arco di un anno, passava più tempo nella
penitenza e nel digiuno, che non nella festa o altro. La quaresima del santo
era parte integrante di un profondo cammino di conversione, era la via ardua
della conformazione a Cristo, come per un atleta professionista, l’allenamento
e la palestra. Conformazione a Cristo vittorioso sul peccato e sulla morte,
Cristo povero e orante nel deserto, nel Quale tutte le cose sono state
ricapitolate.
L’uomo evangelico aveva intuito che il
Natale e la Pasqua sono strettamente legati l’uno all’altro, rappresentano come
i due poli dell’unico mistero di salvezza. Per questo motivo – dice il Celano –
“Meditava continuamente le parole del Signore
e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione
e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria,
che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. “ ( 1 Cel. 84 : FF. 467 )
Tra incarnazione,
passione, morte e resurrezione di Cristo egli aveva compreso che v’era un
legame profondissimo, come due facce della stessa medaglia. Senza una
conoscenza culturale di nozioni liturgiche, ma per intuizione carismatica,
aveva compreso l’esigenza di vivere la carica salvifica di quello che è
chiamato “ tempo fra l’anno “, diviso in due momenti: dall’epifania al
Mercoledì delle Ceneri; dal lunedì dopo la Pentecoste all’Avvento. ed ecco perché la sua quaresima non iniziava
il mercoledì delle Ceneri, bensì il lunedì dopo l’Epifania; e, mentre tutti i
frati, come tutti i cristiani, erano tenuti a osservare il digiuno durante la
grande quaresima, a quella dopo l’Epifania, i frati erano solo esortati. Questa
quaresima lui la chiamava “Benedetta” perché “…coloro che volontariamente la
digiunano siano benedetti dal Signore” (Rb 3, 3). Una terza
quaresima era quella in preparazione alla natività di Cristo, detta
d’“Avvento”, che non iniziava qualche settimana prima di Natale, bensì con la
festa di Tutti i Santi, il primo novembre, quindi altri due mesi di grande
meditazione della parola di Dio, di preghiera, di penitenza e digiuno.
Ancora un altro periodo di intensa
contemplazione era quello in preparazione alla festa dell’Assunta, partiva
dalla festa dei santi Pietro e Paolo, in onore della Chiesa, o meglio, di
Maria, la madre del Signore, “Vergine fatta Chiesa” (SalV).
Questa quaresima scaturiva dalla grande
devozione ecclesiale-mariana di frate Francesco, infatti per lui le due realtà
Maria-Chiesa, non andavano mai separate, poiché nella Chiesa si perpetuava
l’immagine di Maria che “…aveva reso nostro fratello il Signore della Maestà”
(2 Cel 198). La quinta quaresima di frate Francesco, iniziava il giorno
dopo l’Assunta e terminava il giorno della festa dei santi Arcangeli, il 29
settembre. Un periodo di contemplazione e digiuno particolarmente caro al santo
assisano e a tutto il mondo francescano, perché è proprio durante questo
periodo che un Serafino insignì delle stimmate frate Francesco, due anni prima
di morire, sull’ormai ben noto monte de La Verna (cfr. 1 Cel 94-96).
Circa duecento giorni di quaresima
durante l’arco di un anno, ma quale era il senso di tutto questo tempo
trascorso nella preghiera e nel digiuno?
La quaresima – sia quella grande, sia le
altre sopra elencate – è per lui come per tutti i fedeli “ il tempo favorevole”
destinato alla penitenza, alla conversione per rivivere la verità sostanziale
del battesimo. Tuttavia nell’attuazione di questa penitenza, Francesco mette in
atto ovviamente un suo stile personale.
Anzitutto Francesco
mortifica la propria carne non per odio ma per amore. Portare la propria natura, con i digiuni e le veglie
prolungate, dall’animalità alla spiritualità, vuol dire amarla nella maniera
più vera. Questa visione della mortificazione-amore
è così vera che il Poverello, quando prese coscienza che l’obiettivo della
trasformazione era raggiunto, fece pace
con la propria carne: «Rallegrati, frate corpo, e perdonami; ecco,
ora sono pronto a soddisfare i tuoi desideri, mi accingo volentieri a dare
ascolto ai tuoi lamenti».
Inoltre Francesco aveva
compreso che Dio, quando vuole parlare personalmente con qualcuno, lo chiama
nel deserto. Per questo motivo, durante le quaresime, egli si sottraeva a
tutto e a tutti, si rifugiava nelle selve, nelle gole dei monti, nei luoghi più
impervi per occuparsi solo di Dio e passava il suo tempo in una
preghiera quasi ininterrotta.
Ancora, distaccato
dagli uomini, il Poverello voleva essere distaccato anche dal possesso delle
cose. Nei luoghi dove attuava le sue quaresime – più che nelle altre dimore –
voleva che regnasse sovrana madonna povertà. Voleva che nessun
pensiero terreno, nessuna preoccupazione lo trattenesse nel suo slancio
contemplativo.
Infine la bellezza e la gioia delle creature. L’amore di San Francesco per la
povertà non gli impediva di ammirare ed amare tutte le creature di Dio. Spoglio
di ogni cupidigia, era nella condizione più adatta per raccogliere la voce
delle creature e innalzarla con Cristo a Dio Padre. Per questo
motivo, per attuare le sue quaresime, sceglieva luoghi nei quali il verde delle
selve, la verità delle erbe e dei fiori, il canto degli uccelli, la vastità del
panorama che facilitassero i suoi slanci contemplativi e incorniciassero in un
alone di gioia i suoi digiuni e le sue mortificazioni.
Veramente la vita di Francesco, così
come scrive il Papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la quaresima di
quest’anno, fu un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi
ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i
nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio.