mercoledì 19 febbraio 2014

LA POVERTA' DI CRISTO E' LA PIU' GRANDE RICCHEZZA !



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2014

La povertà di Cristo è la più grande ricchezza “. Questa in sintesi il tema scelto dal Papa come messaggio di riflessione per il tempo di quaresima che sta per iniziare . Ancora una volta un messaggio caro alla spiritualità francescana, direi il suo apice, la sua essenza più profonda esplicitata nella scelta di Francesco di farsi povero in mezzo ai poveri per amore di Gesù.
«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Papa Francesco prende spunto dalle parole di S. Paolo ai Corinti per evidenziare lo stile di Dio il quale “non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà “.
Gesù si è spogliato delle sue prerogative divine rivestendo la carne della nostra umanità non per amore della povertà in se stessa ma perché la necessità dell’amore è quella di “condividere in tutto la sorte dell’amato “. Compresa la miseria, la sofferenza e la morte. E’ questa la via che Dio ha scelto per consolarci, salvarci ed infine liberarci dalla nostra miseria. A cosa infatti ci avrebbe giovato un Dio solidale e misericordioso, ma incapace di tirarci fuori dalla palude dei nostri peccati, sporcandosi egli stesso di fango ? Non sarebbe stato questo piuttosto il Dio lontano dei  filosofi o compassionevole del Buddha, altresì incapace di salvarci?
Che cos’è allora questa povertà con cui Gesù ci libera e ci rende ricchi? continua il pontefice...  è il suo farsi carne,!!!... Il poterlo toccare , udire, incontrare, nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri!!.”
La scelta della povertà da parte di Cristo ci suggerisce infatti che esiste una dimensione positiva della povertà, che peraltro risuona nel Vangelo, che proclama beati i poveri. E’ evidente che in questa dimensione della povertà c’è un aspetto di spoliazione e di rinuncia. Altra cosa è invece la miseria che un cristiano ha il dovere di combattere.
Cerchiamo quindi di sbarazzarci subito di una grande tentazione e di un enorme frainteso in cui sono caduti spesso tanti nostri fratelli nel confondere i reali motivi che spinsero S. Francesco a farsi povero. Come ben ha spiegato  Padre Raniero Cantalamessa , predicatore della casa pontificia, nella sua prima predica d’avvento dell’anno scorso, Francesco “ non ha scelto la povertà e tanto meno il pauperismo : ha scelto i poveri”.
Il motivo profondo della sua conversione – ha soggiunto – non è di natura sociale, ma evangelica”. E del resto, Francesco “non andò di sua spontanea volontà dai lebbrosi”, ma vi fu condotto dal Signore. “Non ci si innamora di una virtù – ha avvertito padre Cantalamessa – fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona”. Pertanto  Francesco non sposò la povertà e neppure i poveri; sposò Cristo e fu per amor suo che sposò, per così dire 'in seconde nozze' Madonna povertà”.
Così sarà sempre nella santità cristiana. Alla base dell’amore per la povertà e per i poveri, o vi è l’amore per Cristo, oppure i poveri saranno in un modo o nell’altro strumentalizzati e la povertà diventerà facilmente un fatto polemico contro la Chiesa, o una ostentazione di maggiore perfezione rispetto ad altri nella Chiesa, come avvenne, purtroppo, anche tra alcuni dei seguaci del Poverello”.

Ma torniamo ora al nostro discorso. Il messaggio quaresimale che oggi presentiamo si diffonde appunto su una distinzione importante tra povertà e miseria. Il cristiano deve essere povero ma non misero. Misero è il mondo in cui viviamo . Il Santo Padre nel suo discorso enumera tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La prima 'tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana… Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità'. La miseria morale 'consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato'. Questa 'forma di miseria, che è anche causa di rovina economica, si collega sempre alla miseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore'".
Il Vangelo è allora il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna. Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza!”.

In questo tempo prezioso che Dio ci dona per la nostra conversione teniamo dunque fisso lo sguardo verso  Cristo povero e crocifisso e  ricordiamo le parole del Papa : “La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.

                                                                                                          Antonio Fasolo Ofs











IL BEATO FRANCESCO
LODA LA POVERTA'
1974 16.
. Perché lo stesso Re dei re e Signore dei signori, creatore del cielo e della terra, ha vagheggiato il tuo volto e la tua bellezza. Mentre il re posava alla sua mensa, ricco e glorioso nel suo regno, abbandonò la sua casa, lasciò la sua eredità: perché onore e ricchezze sono nella sua casa. E in tal modo, scendendo dalla sua sede regale, si degnò andare in cerca di te.

661 73.. ...Da parte mia ritengo dignità regale e insigne nobiltà seguire quel Signore, che pur essendo ricco si è fatto povero per noi ».

788 200.
Non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine poverella.
Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della beata Vergine e l'indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra.
Per questo chiamava la povertà virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina. Infatti ai frati, che adunati a Capitolo gli avevano chiesto quale virtù rendesse una persona più amica a Cristo: « Sappiate--rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore--che la povertà è una via particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma solo da pochi è ben conosciuto ».

1127 - 7.
 Difatti il Signore si compiace della povertà e soprattutto di quella che consiste nel farsi medicanti volontari per Cristo. E io, questa dignità regale che il Signore Gesù ha assunto per noi, facendosi povero per arricchirci della sua miseria e costituire eredi e re del regno dei cieli i veri poveri di spirito, non voglio scambiarla col feudo delle false ricchezze, a voi concesse per un momento”.

1611

Voglio invece considerare, secondo Dio, che questa è la più sublime nobiltà e regale dignità un gesto di onore verso colui che, pur essendo Signore di tutto, volle per amore nostro farsi servo di tutti; ed essendo ricco e glorioso nella sua maestà, venne povero e disprezzato nella nostra misera condizione.

L’ALBERO FRANCESCANO: ELEAZAR DE SABRAN - di Milvia Bollati

Tra i santi che compaiono nell’arazzo sistino con l’albero francescano, conservato nel Museo del tesoro della Basilica di san Francesco, figura sant’Eleazar de Sabran, un santo oggi non molto noto. Sant’Eleazar si presenta con una spada – era infatti cavaliere e nobile – e un rosario nella destra. Sono poche le notizie biografiche che lo riguardano. Rampollo della nobile famiglia de Sabran in Provenza, Eleazar (1286-1323) sposa nel 1300 Delfina di Signe (1284-1360). Un matrimonio fortemente voluto da Carlo II, ma che la giovane Delfina avversava, avendo fatto voto di castità. Fu solo grazie all’insistenza – e alle parole – di Guillaume de Martial, frate dell’ordine dei Minori, che Delfina accettò infine le nozze. Il voto di Delfina fu però accolto anche da Eleazar e i due novelli sposi vissero castamente come i due santi sposi Cecilia e Valeriano.

La famiglia Sabran, originaria della contea dell’Ansouis a sud-est di Avignone, prestava il proprio servizio presso la corte angioina come altre nobili famiglie provenzali. Dalla Provenza a Napoli: Eleazar è presso la corte di re Roberto e della regina Sancia di Maiorca, di cui conosciamo la vicinanza all’ala pauperistica dell’ordine nato con Francesco, i cosiddetti spirituali. Sancia aveva ricevuto la sua educazione proprio tra i francescani e fu legata sempre da profondo affetto all’ordine. A Napoli la regina si era fatta promotrice della fondazione di diversi monasteri, Santa Chiara, Santa Maria Maddalena – per citarne alcuni – e Santa Croce di Palazzo, mostrando una predilezione speciale per le clarisse delle quali vestirà l’abito alla morte di Roberto d’Angiò, assumendo il nome di suor Chiara di Santa Croce. Nel 1316 Eleazar e Delfina celebrano pubblicamente il loro voto di castità, tenuto fino ad allora segreto. La cerimonia ebbe luogo nel giorno della festa di santa Maria Maddalena.
Fu probabilmente in questa occasione, o poco dopo, che i due sposi aderirono al terz’ordine francescano. È proprio in questa sua veste di terziario che Eleazar compare nell’arazzo sistino in corrispondenza con sant’Elisabetta di Ungheria, patrona del terz’ordine. Quattro anni dopo la sua morte, nel 1323, François de Mayronnes si fa promotore dell’avvio del processo di canonizzazione e presenta a papa Giovanni XXII un libello per promuoverne la causa di santità che arriverà a conclusione con papa Urbano V nel 1369 che iscrive Eleazar nel catalogo dei santi. Dopo la morte di Eleazar, Delfina continua una vita austera, dedicandosi alla preghiera e al servizio dei poveri ed oltre al voto di castità, emette anche il voto di povertà, distribuendo ogni sua ricchezza agli indigenti. Farà ritorno in Provenza solo anni più tardi ed ad Apt muore il 26 novembre 1360. Tre anni dopo sarà avviato il processo di canonizzazione. I due sposi sono uniti nella chiesa cattedrale di Apt, in Provenza.


Milvia Bollati
Storica

FRANCESCO E GLI ALTRI - di Franco Cardini

Non s’insisterà mai abbastanza sul fatto che l’eccessiva e generalizzata simpatìa con la quale è accolta la figura di Francesco nel mondo odierno si basa su una serie di gravi, spesso divertenti e più spesso allarmanti equivoci. È a non dir altro ridicolo se non scandaloso che una lettura decristianizzata e immanentizzata dell’alter Christus possa aver avuto successo non solo tra ecologisti di vario genere ma addirittura negli ambienti teosofico- consumistici del new agee degli sprovveduti che prendono sul serio i libri di Paulo Coelho.

Di natura diversa, e molto più interessante, sono il successo e la fortuna di Francesco in ambienti seri e qualificati non-cattolici e addirittura non-cristiani. A quei livelli, certo, l’equivoco permane: non si può capire Francesco fraintendendo sulla sostanza e sulla natura del Cristo (non soltanto sul suo “modello” esistenziale); non si può interpretarlo prescindendo dal carattere concretamente storico della sua umiltà, della sua carità, della sua obbedienza, quindi dalla fedeltà profonda alla Chiesa romana.

È tuttavia importante approfondire la nostra conoscenza del “Francesco degli altri”. Ai cristiani “riformati” (i protestanti) interessa quello che essi interpretano come il suo sforzo di riallacciarsi direttamente al modello del Cristo povero e crocifisso, mettendo da parte la mediazione ecclesiale. Nella tradizione ortodossa, specie greca e russa, ha un grande rilievo la dimensione mistico-ascetica di Francesco quale espressione di “santa follìa” analoga a quella dei sàloi, dei “pazzi di Dio”. Gli ebrei valorizzano la devozione del Povero d’Assisi nei confronti del Nome di Dio al punto da chiedersi – ed è questione tutt’altro che arbitraria – se, e in che modo, egli potesse aver cognizione del culto ebraico per ha-Shem, il “Nome” divino appunto, e delle singole lettere che compongono il Tetragramma. I musulmani, fondandosi sull’episodio della visita di Francesco al sultano d’Egitto, insistono sulla sua apertura nei confronti dell’Islam e sull’analogia tra la sua spiritualità e quella che emerge per esempio dalla cultura delle scuole sufiche. Le varie scuole e tradizioni buddhiste valorizzano tutte, in modo diverso tra loro, quella che esse avvertono come la sua volontà – già presente nel modello paolino – di annullare la sua individualità per vivere col Cristo e nel Cristo, il che viene ovviamente posto in rapporto con la dottrina della progressiva “liberazione” dalla materia, con il Bodhi, il “Risveglio”, e pertanto la tensione verso il Nirvana. Ragioni analoghe presiedono all’interesse per Francesco delle molte, diverse componenti del complesso mondo induistico, che gli occidentali ritengono – con superficialità e leggerezza – un “politeismo idolatra” o un “panteismo” in quanto ignorano (o fraintendono, o sottovalutano) la profondità del concetto di Brahman come “Realtà suprema” e “Respiro dell’universo”. Ciò spiega l’attenzione nei confronti della spiritualità francescana da parte di celebri studiosi indù, ben noti anche da noi, come AnandaKoomaraswami. E spiega la profonda devozione per Francesco dimostrata da unodegli spiriti più alti dell’intera storia del genere umano, il Mahatma Gandhi.

Questa simpatia, quest’attenzione, riposano senza dubbio su distorsioni ed equivoci molto gravi: Francesco è obiettivamente lontano da quel che immaginano e propongono protestanti e ortodossi, musulmani e induisti. Nondimeno, la natura stessa di quei fraintendimenti dimostra come la figura e la testimonianza del Povero d’Assisi possano in effetti costituire un formidabile strumento di confronto e dunque di “dialogo” fra culture e tradizioni diverse. Diverse, ma non estranee: in quanto appartenenti tutte ai differenti linguaggi secondo i quali Dio (pur riservando alla famiglia abramitica il privilegio della Rivelazione diretta) ha parlato al genere umano fino dall’alba dei tempi che lo ha visto comparire sulla terra.

Franco Cardini
Professore ordinario di storia medievale presso l'Università di Firenze