Quando
si parla della Verna il pensiero corre subito all’intimo tormento di S.
Francesco e a quel prodigioso miracolo che impresse sulla sua carne, sul finire
dell'estate del 1224, le stimmate di Cristo, conformandolo definitivamente a
Lui. Visitare la Verna è dunque
affacciarsi a questo mistero, chiedere di esporsi a questa luce.Alla Verna
Francesco chiede di conoscere Cristo in un modo nuovo, non più vedendo,
toccando,ascoltando..., bensì provando;
“ch'io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivoamore del quale
eri acceso nel sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (FF
1919).
Per
questaconoscenza non basta la mente, il cuore, l'anima..., ci vuole tutta la persona: anche il corpo.
Questa
fisionomia,che lega il luogo ( detto usualmente “Golgota francescano” ) alla
passione mistica del Santo , prevale in genere su ogni altro tipo di lettura.
Tuttavia, il mistero che ha segnato in modosingolare l'esperienza di Francesco
deve essere interpretato, per motivi di completezza,alla luce della totalità
dell’evento pasqualemessianico che egli ha riprodotto nella sua carne, e che in
Cristo trova compimento nella resurrezione.Le ferite infatti, segni della
morte, perla potente forza dell’amore diventano segni invincibili di vita.
Anche
Francesco d’Assisi ha posto la Pasqua come fondamento di tutta la sua
esperienza in Cristo, dagli inizi della conversione fino alla morte, nudo sulla
nuda terra.
Questo
capovolgimento è ben rappresentato dall’episodio della lavanda dei piedi, dove
il Signore della vita («Io sono la via, la verità e la vita»; Gv 14,6) si è
fatto servo, perché da Signore e Maestro ha lavato i piedi ai suoi discepoli
(cfr. Gv 13,1-20).
Per
frate Francesco l’atteggiamento cristiano del servo è quello che lui chiama
“minorità” (cfr., ad es., Rnb V,15.19), e infatti spesso in quei testi nei
quali egli parla di minorità o di frati minori, ci sono dei riferimenti alla
lavanda dei piedi o al brano del Vangelo di Matteo.
Allora,
anche la conversione pasquale secondo Francesco, pienamente fondata su Cristo,
è un capovolgimento della gerarchia dei valori, da “maggiore” secondo il mondo,
a “minore” secondo il Vangelo: «- Voglio che questa fraternità sia chiamata
Ordine dei Frati Minori -. » (1Cel I, XV, 17-18).
Altro
aspetto da mettere in evidenza per ciò che riguarda la “Pasqua francescana”, è
il passaggio dalla morte alla vita.
Guardando
il corpo di frate Francesco morto stimmatizzato, nudo sulla nuda terra dobbiamo
chiederci : dov’è o Cristo la tua Resurrezione?
Forse
una risposta la troviamo nel racconto della stimmatizzazione che ne fannoi
Fioretti«In questa apparizione mirabile, tutto il monte della Verna parea che
ardesse di fiamma splendissima, la quale risplendeva e illuminava tutti i monti
e le valli d'intorno, come se fosse sopra la terra il sole; onde i pastori che
vegliavano in quelle contrade, veggendo il monte infiammato e tanta luce
d'intorno, si ebbero grandissima paura, secondo ch'eglino poi narrarono ai
frati, affermando che quella fiamma era durata sopra il monte della Verna per
spazio di un'ora e più» (Della terza considerazione delle sacre sante istimate
FF. 1920).
Dal
momento in cui aveva ricevuto le stimmate, due anni prima di morire, Francesco
non fa altro che pensare alla sua morte, cioè all’incontro integrale con Dio. Per
lui era cominciato come un nuovo itinerario di intimità col suo Signore.Ecco
perché per Francesco la morte si chiamava “sorella”, perché era ed è colei che
ci conduce fraternamente all’incontro definitivo con Dio. Le stimmate sono il
segno del Cristo crocifisso, ma anche del Risorto!
E
l’immagine del Cristo crocifisso, che Francesco ha sempre prediletto è quella
del Crocifisso Risorto (di San Damiano), perché meglio rappresenta la
condizione del cristiano, che ogni giorno è chiamato a vivere la sua morte e
resurrezione per opera di Dio.
La
Pasqua era per il Poverello, anche il passaggio da questo mondo al Padre, cioè
un esodo, l’Esodo.
San
Bonaventura argomenta questo aspetto dell’Alter Christus forse, meglio di
chiunque altro:«Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si trovava in un
romitorio molto lontano dall’abitato e non c’era possibilità di andare a
mendicare, memore di Colui che in quello stesso giorno apparve ai discepoli in
cammino verso Emmaus, in figura di pellegrino, chiese l’elemosina, come
pellegrino e povero, ai suoi stessi frati.
Come
l’ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la
Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre…» (LM VII, 9).
La
Pasqua era per il frate d’Assisi, il passaggio dalla morte alla vita, dal
peccato alla penitenza, dalla superficialità alla contemplazione.
Una
contemplazione che è rendimento di grazie a Dio per quanto ha operato in lui
attraverso questo Mistero così grande, una contemplazione che si trasforma in
lode: «… ti rendiamo grazie perché […] per la croce, il sangue e la morte di
Lui ci hai voluti liberare e redimere» (Rnb XXIII, 5).
Antonio
Fasolo Ofs
“Dio
che aveva reso mirabilmente risplendente, in vita, quest'uomo ammirabile,
ricchissimo per la povertà, sublime per l'umiltà, vigoroso per la
mortificazione, prudente per la semplicità e cospicuo per l'onestà d'ogni suo
comportamento, lo rese incomparabilmente più risplendente dopo la morte.
L'uomo
beato era migrato dal mondo; ma quella sua anima santa, entrando nella casa
dell'eternità e nella gloria del cielo, per bere in pienezza alla fonte della
vita, aveva lasciato ben chiari nel corpo alcuni segni della gloria futura:
quella carne santissima che, crocifissa insieme con i suoi vizi, già si era
trasformata in nuova creatura, mostrava agli occhi di tutti, per un privilegio
singolare, I'effige della Passione di Cristo e, mediante un miracolo mai visto,
anticipava l'immagine della resurrezione.”( FF.1246 )