venerdì 24 gennaio 2014

IL DONO DEL SALUTO di Niklaus Kuster

Dal saluto biblico di san Francesco al popolare augurio della famiglia francescana


di Niklaus Kuster
frate cappuccino svizzero, docente di Storia e spiritualità francescana

I francescani si salutano dicendo «Pace e bene». Negli Scritti di san Francesco non si trova «Pax et bonum». Nemmeno i biografi e i compagni del Poverello pongono mai sulle sue labbra questo augurio. Le Fonti Francescane riportano tale saluto un’unica volta, quale invocazione che Francesco sente ad Assisi, ma che non fa propria (FF 1428). Orientato radicalmente verso la bibbia, Francesco apre lettere e prediche con altri saluti di benedizione.

Kuster 02 (Ivano Puccetti)Formule di saluto di san Francesco 
Negli Scritti del santo troviamo 13 volte pax e 51 volte bonum, senza però che i due termini siano legati tra loro. Nella Lettera a un Ministro e nella Benedizione a frate Leone è impiegata la benedizione di Aronne: «Dominus det tibi pacem!». Nella breve Ammonizione 15 si parla della pace, è però l’amor Domini il vero operatore di pace. Nelle sue lettere Francesco usa alcune varianti dell’augurio di pace sostituendolo con l’annuncio di salvezza (salus). Nella breve Lettera a frate Leone augura con spirito materno al compagno «salute e pace». Nella seconda Lettera ai Custodi completa: «salute et santa pace nel Signore». Nella prima Lettera ai Custodi limita l’augurio alla salvezza. Nella Lettera ai Reggitori dei popoli estende a tutte le persone umane l’augurio «salute e pace a tutti». Nella seconda Lettera ai credenti augura «pace e carità», mentre nella Lettera ad Antonio semplicemente «salute», come nella Lettera a tutto l’Ordine. Alla sua amica Jacopa Francesco augura «salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo».
Nella Regola non bollata 14,2 (FF 40), Francesco affida ai frati il saluto che Gesù aveva indicato ai suoi discepoli: «pace a questa casa». Simile prassi è confermata dal più antico affresco di Francesco al Sacro Speco di Subiaco: esso mostra Francesco quale nuovo discepolo di Gesù povero e scalzo che attraversa una porta con il saluto di «pace a questa casa», mentre la pergamena del saluto ne indica in Lc 10,5 l’origine. Nel Testamento Francesco formula al singolare il saluto di pace a un nucleo familiare: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: il Signore ti dia pace! (2Test 23: FF 121)». È il saluto che Gesù affida ai suoi discepoli quando li invia in Galilea (Mt 10,12) e quello del Risorto stesso nel corso delle sue apparizioni pasquali (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26).

Shalom e Tob nella Bibbia 
L’esegeta spagnolo Antonio González Lamadrid mostra quanto «pax et bonum» sia profondamente radicato nella tradizione biblica. Nell’Antico Testamento appaiono «pace e bene» (shalôm - tôb) in parallelo. Parecchie testimonianze testuali si riferiscono con ciò a prosperità e pienezza di vita nella sicurezza e nell’armonia (Gen 26,29; Est 10,3; Lam 3,17; Ger 8,15; 14,19; 33,9; Is 52,7). Salmi e Profeti esortano i credenti a legare sul piano etico opere buone e augurio di pace. È l’esempio di Sal 34,15: «Sta’ lontano dal male e fa’ il bene [tôb]; cerca la pace [shalôm] e perseguila!».
Perché mai Francesco non ha fatto proprio l’augurio «pax et bonum», lui che ascoltava simili passaggi biblici e pregava i Salmi? Perché il Poverello impiega volentieri i due concetti pace e bene in senso biblico, senza tuttavia metterli mai insieme in un saluto allora diffuso ad Assisi?

Origine di «pax et bonum» 
L’unica testimonianza relativa a questa formula di saluto nelle Fonti Francescane riferisce di una pratica prefrancescana: l’espressione è attribuita a un predecessore locale di Francesco e rimane fuori dell’ambito francescano, in quanto né il Poverello né il Francescanesimo l’utilizzano nel Medioevo. I tre compagni riferiscono di un contemporaneo di Francesco che attorno all’anno 1200 invocava la pace nella città d’Assisi dilaniata dai conflitti con la formula: «pax et bonum, pax et bonum» (3Comp 26: FF 1428). Questo strillone scompare prima dell’operare di Francesco e dall’ottica dei Compagni e non diventa nemmeno frate minore. I tre compagni vedono per contro in Francesco la continuità dell’agire dei grandi profeti. Il saluto dell’annunciatore di buone nuove in Isaia - il cui messaggio ebraico unisce shalôm e tob (Is 52,7) - è tradotto due volte con il dittico genuinamente francescano pax e salus. Esso corrisponde di fatto sul piano linguistico e contenutistico alle formule di saluto utilizzate da Francesco nei suoi scritti.


Francesco augura salus invece che bonum
Il Poverello augura ai suoi compagni e a tutti gli uomini «salus et pax» oppure «pax et caritas». Salute (o salvezza) e amore prendono il posto di bonum. Come può essere spiegata la differenziazione dal saluto di pace dell’anonimo precursore?
Ci forniscono una risposta le preghiere del santo: Dio è «ogni bene, il sommo bene», è l’origine di ogni bene (LodAl 3: FF 261). È compito dell’essere umano di rallegrarsi del bene che Dio opera in lui e negli altri (Pater 2: FF 267; Am 7-8: FF 156-157) e di “riconsegnare” con gratitudine il bene ricevuto (Lora 11: FF 265 ). Nella Regola non bollata, Francesco vede, quale unico auspicio per i frati, che il vero Dio li colmi di gioia: poiché Dio solo è buono, «il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene» (Rnb 23,9: FF 70), l’essere umano deve ascrivere a Dio ogni bene e restituirglielo nella lode (Rnb 17,17-18: FF 49).
Per Francesco è fuori discussione che è Dio a donare agli uomini il bene. Colui che si appropria «e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui» è ladro e colpevole (Am 2,3-4: FF 147). Nella Raccolta di testi di Perugia si ricorda un medico che si prese cura di Francesco nelle sue due ultime settimane di vita: Giovanni di Arezzo, «Bonus Iohannes de civitate Aretii». I compagni sanno che Francesco chiamava il medico solo «frater Janni»: «il beato Francesco non voleva chiamare nessuno con il suo nome, che si chiamasse “bonus” per timore davanti al Signore, il quale disse: Nessuno è buono all’infuori di Dio» (CAss 100: FF 1638).
Anche il bene che Francesco vede accadere nella sua esistenza e nella vita delle altre persone è attribuito a Dio. Nessuno può ascrivere a se stesso questo bene, bensì deve “riconsegnarlo” a Dio. Si spiega in tal modo il fatto che il santo non vuole attribuire a nessuna persona umana il termine bonum, mentre per contro deve salvaguardare in ogni situazione la pace che proviene dal Cielo.
Il moderno saluto «pace e bene»
Il passaggio dalla Leggenda dei tre Compagni all’uso francescano del saluto di «pax et bonum» è testimoniato per la prima volta nei conventi francescani del XV secolo ed è diventato un saluto popolare in tutta Italia grazie al noto predicatore radiofonico e televisivo fra Mariano da Torino (1906-1972). Il cappuccino torinese ha aperto sin dagli anni Cinquanta le sue amate trasmissioni con il saluto «Pace e bene a tutti». L’augurio divenne assai conosciuto tramite le preghiere per la pace di Assisi (1986, 2002, 2011) anche al di fuori dei circoli cristiani e in altre religioni.
Tratto da " Messaggero Cappuccino - gennaio 2014 "
http://www.messaggerocappuccino.it/index.php/e-sandali/500-2013mc10-san-1

domenica 19 gennaio 2014

IN MEMORIAM : Padre Antonio Giacomello, frate minore.

Vieni servo buono e fedele !

Un frate piccolo e magrolino con una manciata di caramelle in mano ci diede il benvenuto il primo giorno della nostra formazione da aspiranti terziari. Erano i primi anni novanta ed insieme a Lidia mia moglie, avevamo cominciato a frequentare la Fraternità di Via Merulana attratti dalla spiritualità di S. Francesco.
Rideva con gusto il frate e ci scrutava con tenerezza attraverso i suoi grandi occhiali  da miope, infilato in un saio dalle maniche forse troppo larghe ma nelle quali sapeva nascondere e tirare fuori  di tutto. 
“Una coppia di coniugi ?“ chiese, e alla risposta affermativa, subito gli occhi gli brillarono ed io capìì che ci aveva atteso da tempo. Da allora ci volle sempre bene e non ebbe mai pudore di nasconderlo.
In verità frate Antonio Giacomello amò moltissimo tutta la fraternità dell’Ofs della nostra Basilica, alla quale si dedicò con cura e passione nel suo compito altissimo e ben compreso di assistente spirituale. Sempre presente alle riunioni, attento alle necessità di tutti, punto di riferimento per quanti erano nella difficoltà e nel dolore, consigliere saggio, amico prudente, fratello e sacerdote carissimo. Incoraggiava tutti , severo all’occorrenza senza timore di risparmiarsi quando c’era di mezzo la cura delle anime. 
Ciò che amava davvero di più era la nostra realtà secolare.”Se l’Ofs vuole riformarsi e tornare alle origini, deve guardare all’esempio luminoso delle prime coppie di coniugi che entrarono nell’Ordine , come i beati Lucchese e Bonadonna”. Fu questa la sua suggestione che mi spinse ad approfondire la storia dell’Ordine. Amava la compagnia dei santi. Lo vidi l’ultima volta stanco ed affaticato nel suo confessionale in San Giovanni in Laterano, circondato da tantissimi santini che aveva letteralmente appiccicato sulle pareti di legno della sua “postazione“. 
Lo sentii di nuovo per telefono, ai primi di dicembre quando già aveva dovuto lasciare il suo ministero di penitenziere e si trovava nell’infermeria provinciale del convento di Grottammare nelle Marche.
Sono certo che quando il Signore gli ha aperto le porte del Paradiso lo ha preso sotto braccio e gli ha detto : “ vieni servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone.”
Beato te Frate Antonio !!! Prega ora per noi  che combattiamo ancora nell’arena di questa vita.  
 
                                                                                         Antonio Fasolo Ofs
                                                                                            

martedì 14 gennaio 2014

IL VANGELO DELLA FRATERNITA’. Fondamento e via per la pace.



Nel corso del primo angelus dell’anno 2014 il Santo Padre Francesco si è soffermato a lungo su questo tema, scelto per la celebrazione della 47^ Giornata Mondiale della Pace. “Alla base c’è la convinzione che siamo tutti figli dell’unico Padre celeste, facciamo parte della stessa famiglia umana e condividiamo un comune destino. Da qui deriva per ciascuno la responsabilità di operare affinché il mondo diventi una comunità di fratelli che si rispettano, si accettano nelle loro diversità e si prendono cura gli uni degli altri.” E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore. Un padre e una madre godono e sanno di essere stati capiti dai figli non quando essi dicono «Ti voglio bene, papà», ma quando vedono che i figli si vogliono bene da veri fratelli. Così è per il Padre Celeste. 


La globalizzazione, tuttavia, continua il Santo Padre,se da una parte rivela la spinta interiore dei popoli che tendono verso la realizzazione di un’unica comunità umana, a causa del peccato che avvelena i cuori, non riesce a trasformarsi spontaneamente  in una società davvero più giusta e solidale, ovvero in una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Guerre , violenze, vendette, prepotenza, corruzione, sono i nemici che quotidianamente attentano alla realizzazione di questo progetto di pace. Cosi la facilità di comunicare in maniera così immediata e veloce e di spostarci rapidamente  da un punto all’altro del globo, paradossalmente, come ha affermato Benedetto XVI, ci fa sentire vicini, ma non ci rende fratelli .
Esemplare è il racconto biblico della vicenda di Caino ed Abele. Esso insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per la comunione e per il dono. Ci si può chiedere allora : l’uomo può costruire un mondo migliore e pacifico appoggiandosi sulle sue sole forze?  Evidentemente no. Per questo Dio si è fatto uomo, e lo abbiamo celebrato da poco nel Natale, e la missione di Cristo è consistita, essenzialmente, in tre cose:
* nel rivelare che Dio è Padre e che noi siamo tutti fratelli
* nel redimere mediante la croce, cioè salvare, riportare alla dignità di figlio, l’uomo che si era perduto;
* nel riconsegnare tutte le cose e nel restituire l’uomo a Dio.
In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La Croce è il “luogo” definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. La risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità.
Nondimeno, come diceva Paolo VI, non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità . Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri (. Populorum progressio - 26 marzo 1967  ) . Ciò implica evidentemente la sostituzione della dinamiche di sfruttamento e di potere con quelle di amore e di servizio.
La mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini, aggiunge il Pontefice, è una causa importante della povertà, sia quella relazionale ,dovuta cioè alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie, sia in senso stretto della povertà intesa come carenza di beni.
Essa non può che essere guarita dalla fraternità che ci suggerisce di soccorrere i poveri e di condividere i beni, come insegna la perenne ed immutata dottrina sociale della Chiesa.
Altra  grave e profonda ferita inferta alla fraternità è  l’esperienza dilaniante della guerra, sia quella su vasta scala, sia quella che si esprime in micro conflitti territoriali, o in forme più subdole ma non meno devastanti come la corruzione e il crimine organizzato .Solo il dialogo, il perdono e la riconciliazione possono ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza nel cuore degli uomini e delle nazioni. Non bastano gli accordi internazionali, i vertici tra capi di stato, gli sforzi diplomatici nè le cosiddette “ road map “, se nel cuore dell’uomo manca la conversione. Essa soltanto può mettere fine a tale sfacelo e far trionfare la fraternità.
Anche la cosiddetta crisi economica non potrà mai essere risolta se non andando alle sue radici che sono essenzialmente antropologiche e trovano la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, laddove il feticismo del denaro e la dittatura di un tecnicismo ed di un’ economia senza volto hanno ridotto l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. In tal senso, occorre richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Parafrasando S.Paolo potremmo chiederci : “ Chi ci libererà da questa realtà che conduce alla morte ? “
Risponde il Papa : ci libererà  Cristo, che è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. Ciò comporta costruire una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella. Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.
Non possiamo non fare un’ ultima osservazione. Il tema scelto dal Papa per questa  giornata mondiale della pace, i concetti espressi, le considerazioni fatte, i punti toccati e le soluzioni proposte, ci sono molto familiari. Fanno infatti parte del patrimonio e dell’’eredità spirituale del carisma del Santo di Assisi e tradiscono l’approccio decisamente francescano al problema ed alle sue soluzioni. Non possiamo che rallegrarci di questo grande dono di Dio che per noi è Papa Francesco , senz’altro, oserei dire .  il più francescano dei pontefici che si sono succeduti sulla cattedra di Pietro negli ultimi anni.

                                                                                  Antonio Fasolo Ofs




Dalla regola e Costituzioni delll’Ofs
Reg. Ofs 13: Come il Padre vede in ogni uomo i lineamenti del suo Figlio, Primogenito di una moltitudine di fratelli, i francescani secolari accolgano tutti gli uomini con animo umile e cortese, come dono del Signore e immagine di Cristo. Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo

Cost. 18.2-3: Devono approfondire i veri fondamenti della fraternità universale e creare ovunque spirito di accoglienza e atmosfera di fratellanza. Si impegnino con fermezza contro ogni forma di sfruttamento, di discriminazione e di emarginazione e contro ogni atteggiamento di indifferenza verso gli altri. Collaborino con i movimenti che promuovono la fratellanza tra i popoli: si impegnino a «creare condizioni di vita degne» per tutti e ad operare per la libertà di ogni popolo.