di Pietro Messa
Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani - Pontificia Università Antonianum
L’ideale cavalleresco
Francesco d'Assisi, figlio del mercante Pietro di Bernar¬done, aveva grandi desideri. Infatti egli, come si suoI dire, "sognava ad occhi aperti" di diventare miles, ossia cavaliere, sfondando così socialmente. Questo era il suo sogno, ma fonda¬mentalmente questo era anche il sogno di una classe sociale arricchita ma che continuava ad essere guardata "dall'al- . to in basso" dagli aristocratici, anche se spesso erano più poveri di loro, tanto da giungere a volte addirittura ad essere indebitati con loro.
In questi progetti di grandezza Francesco non era solo, ma li con¬divideva con altri con cui formava una delle tipiche fraternita’ di giovani caratteristiche del tempo. Si ritrova¬vano assieme, condividevano sogni di gloria, spedizioni in paesi fantastici, ricchi bottini con cui costruire una famiglia, o meglio ampliare il proprio clan famigliare. Tutto ciò in Francesco era diventata quasi "una malattia": pur non essendolo, vestiva già i panni dei cavalieri, cioè superiori al suo rango sociale, parlava come se vivesse in una corte - cioè in modo cortese - e persino il suo atteggiarsi era confacente a tali deliri di onnipotenza. Una vera e pro¬
pria ideologia cavalleresca.
Davanti a tutto ciò, non meraviglia che gli fosse amaro vedere i lebbrosi, come egli stesso scrive nel 1226 nel suo Testamento. I lebbrosi, perché rite¬nuti contagiosi, erano esclusi dalla vita sociale, anzi considerati ormai come dei morti viventi. Al massimo erano presi in considerazione o per mostrare come il male, la cui peggiore espres¬sione è il peccato, distrugge l'uomo, oppure per considerarli come oggetto prezioso in quanto possibilità di eser¬citarsi nelle opere buone, secondo gli insegnamenti del vangelo.
La misericordia di abbassarsi
Due figure contrapposte: il miles che vuole innalzarsi a maggior gloria e il lebbroso costretto suo malgrado a retrocedere all'ultimo posto. E tutto ciò era anche il modo di pensare e vivere di Francesco. Ma ad un certo punto qualcosa cambiò, ossia si convertì: non cambiò l'Assisiate che continuava a cercare ciò che fosse dolcezza di anima e di corpo, ma il luogo in cui quest'ul¬tima era incontrabile. Infatti lo stesso Francesco attesta che fu in un certo qual modo condotto tra i lebbrosi e "facendo misericordia" - cioè usando misericordia - con essi tutta quell'ama¬rezza che provava precedentemente nel vederli si convertì in dolcezza di animo e di corpo. Se la sua ideologia cavalle¬resca lo portava ad innalzarsi sempre più, qui la misericordia lo portò ad abbassarsi e gli agiografi non trovarono di meglio per esprimere tutto ciò che narrare una discesa da cavallo. Non I una caduta come tradizionalmente si afferma di san Paolo - la quale di per sé è sempre involontaria - ma una discesa che coinvolse la sua volontà. In quell'in¬versione di direzione, determinata dalla misericordia, Francesco sperimentò e riconobbe una nuova dolcezza che coin¬volse tutta la sua persona, interiorità ed esteriorità, la quale in ultima istanza non poteva che venire dal Signore per eccellenza, il datore di ogni bene. Per questo a distanza di circa vent' anni dai fatti, ossia nel 1226, nel Testamento scriverà: «il Signore mi donò...». Trascorsero circa vent'anni (1206¬1226) dallo svolgimento degli avveni¬menti alla loro narrazione; anni inten¬si passati nella preghiera, nella vita fraterna - infatti la fraternitas continuò a sussistere, non più per sognare glorie cavalleresche, ma per vivere secondo la forma del santo vangelo, ossia seguire le orme di Gesù Cristo -, nel servizio ai lebbrosi e nella predicazione. E in questo tempo quell'avvenimento che diventava sempre più l'inizio di una "storia di salvezza" personale e comu¬nitaria, si approfondiva, mediante con¬tinue riletture, anche grazie ad una maggiore consapevolezza e a nuove acquisizioni culturali e spirituali. Così tale fatto acquistò sempre più i tratti di quello che Francesco riconoscerà come il fatto centrale della storia, ossia che l'Altissimo Signore dall'alto dei cieli è disceso in mezzo agli uomini nel grembo della vergine Maria per usare misericordia con ogni uomo. E tale discesa non è avvenuta una volta per sempre, ma ogni giorno egli compie tale gesto di abbassamento quando si rende presente nel pane consacrato posto nelle mani dei sacerdoti, ossia nell'Eucaristia.
L'umile che si invera
Proprio l'incarnazione e l'eucaristia stupivano Francesco, tanto che due anni prima della sua morte, nel Natale 1224, volle a Greccio assistere alla celebrazione eucaristica su una man¬giatoia - in latino praesepe -, in una grot¬ta dove c'erano l'asino e il bue, come narrava la tradizione. Un gesto semplice ma eloquente per "fare memoria" del Signore che si fece bambino, dive¬nendo realmente l'umile compagnia di Dio all'uomo. E non si trattava di un gesto lontano nel tempo e nello spazio, ma con una grande forza di contemporaneità, tanto che non si ebbe timore di affermare che Greccio era diventata Betlemme! Proprio questa forza di contemporaneità sarà meditata e rappresentata successivamente da coloro che si sono rifatti alla spiritualità di san Francesco. Come il frate Minore spagnolo Juan Francisco Nullo che nel convento romano dell' Aracoeli nel 1581 definì in modo esplicito Greccio come il primo presepe della storia; come santa Camilla Battista da Varano che afferma stupita che tutto gli sembrava che accadesse allora e non secoli prima; come san Carlo da Sezze che al tempo della semina, vedendo i buoi, si commuoveva «avendo inteso che que¬sta sorta di animali con i somarelli si erano ritrovati in quel mistero sì gran¬de della capanna di Betlemme, quando nacque Gesù Cristo da Maria Vergine, riscaldandolo con il loro fiato, quando nel presepio giaceva sopra il fieno»; come santa Veronica Giuliani che scri¬ve: «mi parve vedere Gesù Bambino, nel Presepio, e che la Beata Vergine l'adorasse con grande umiltà e riveren¬za. Il modo come mi si rappresentò, fu come fosse nato allora».
L'altissimo onnipotente buon Signore, grazie alla sua umiltà, diventa incontrabile qui ed ora, nel suo farsi compagnia dell'uomo pellegrino nella storia. ..